Passeggio in una città che non mi appartiene.
M’imbatto in persone che non conosco,
parlano lingue che non comprendo.
Percepisco odori a me estranei,
cipolla, cumino, cardamomo e spezie orientali.
Ah! L’odore della pizza del Vedovà, di Meo.
Quanto ti ho amato!
Mi ritrovo a tratteggiare vie e percorsi
che un tempo erano miei,
ora mi sento forestiero nella mia Jesi.
Il quartiere San Giuseppe, una volta operaio:
di metalmeccanici, lavandaie, falegnami, ciabattini,
e carbonai, non è più come allora.
Si aggira gente di varie etnie.
Donne velate, hijab, burka integrali e kefiah.
Kebab unti e odorosi di pecora,
una macelleria Halal,
call-center e bottiglie di birra abbandonate.
Uomini oziosi, scuri e spavaldi davanti al bar di Centurello.
Allora, tanti anni fa,
l’unico straniero del borgo era il Bresciano,
e lì s’incontravano i cacciatori narranti.
Storie fantasiose di caccia e pesca
di fagiani, lepri e trote.
Via Setificio non appartiene più allo jesino,
il cinema Diana, che non c’è più
ce la fa scordare.
Percorro il piazzale,
fuori porta Valle,
lì, un tempo, il vallato scorreva placido.
Adesso, sotto le mura,
rotolano solo cartacce, bottiglie infrante
e lame d’acciaio brillano nella notte.
Mentre le puttane di colore, sotto i lecci,
raccattano clienti per dieci euro.
© Franco Duranti - 2014