La piazzetta pullulava di gente. La musica assordante e piacevolmente elettrica inondava la piazza delle Monnighette.
L’acustica non era perfetta, ma seduti sotto il palco, vicino ai diffusori, la musica ti avvolgeva come una morbida coperta di note.
Il gradevole odore della cucina, che proveniva dalla trattoria della Fortuna, si mescolava con le note profonde del contrabbasso che si rincorrevano veloci. Le dita del bassista pizzicavano senza sosta le spesse corde, amalgamando quel ritmo di free-jazz. Le abili e veloci mani del pianista rimbalzavano con veemenza e, a volte, accarezzavano i tasti d’avorio. L’attempato batterista, senza scomporre il suo serioso atteggiamento, stava muovendosi con eleganza tra le sue percussioni. Le bacchette in legno di frassino si infrangevano timide, ma decise, in sequenza sui piatti provocando una frizzante chiusura, per poi riprendere e riannodare il ritmo tra il rullante e il muto con movimenti calibrati.
Nonostante il caldo afoso di quella notte di fine agosto anche Betty e Vanni stavano bene seduti al tavolo dell’Hemingway Café.
I gradini che scendono sulla piazzetta, dove i ritardatari avevano preso posto, davano l’impressione di essere in un anfiteatro. Ma il vero anfiteatro della città, circa duemila anni fa, era situato poco lontano da lì: più a est, in via Roccabella.
Ogni tanto qualcuno si alzava per sgranchirsi le gambe da quella scomoda seduta improvvisata e subito il posto lasciato libero veniva occupato da chi assisteva stando in piedi, in piazza Spontini.
La luna blu galleggiava in un cielo terso. E un tappeto di stelle faceva da sfondo a quella notte di musica jazz.
Le risate dei clienti, le suonerie dei cellulari che trillavano e i bicchieri caduti dai tavoli si mescolavano alla musica, invadendo e disturbando quell’estasi di note. A nulla erano servite le raccomandazioni dell’organizzatore che aveva invitato i presenti ad un ascolto garbato silenziando i telefonini.
Betty e Vanni stavano sorseggiando il loro drink ghiacciato, sommersi dalla folla e da quel groviglio di note.
Vanni si divertiva, Betty un po’ meno. Lei era annoiata e nervosa.
All’improvviso il suo cellulare prese a squillare.
La suoneria “Jingle bells” era completamente fuori luogo in quella serata.
Una rapida occhiata al display e si alzò dallo sgabello, senza preoccuparsi di mostrare le sue belle gambe abbronzate dal sole di Senigallia.
Le sue cosce tornite non passarono inosservate e nemmeno le mutandine di pizzo nero.
Con la minigonna inguinale, bianca a pois neri, era uno schianto e il brusio dei ragazzi intorno era stato provocato proprio dalla sua mise provocante.
Il numero sul display era di Rashid.
Si alzò di scatto e si allontanò sculettando, quasi stesse aspettando quella chiamata. Vanni era talmente immerso e concentrato nell’ascolto che non le chiese nulla.
Betty, però, aveva capito tutto. E, facendosi largo tra la folla, si diresse verso il buio del chiostro Sant’Agostino.
Rashid era laggiù in fondo: la stava aspettando.
Doveva consegnarle la solita roba. Quella roba di cui lei non poteva più fare a meno.
Erano pochi giorni che filava con Vanni e lui era del tutto ignaro di quella sua “storia”. Betty aveva provato a smettere: però, ancora una volta c’era cascata.
Quella roba le dava l’impressione fasulla di poter toccare le stelle e aggiungere sale alla sua vita. Quella merda, le faceva dimenticare le difficoltà che stava attraversando. Le serviva qualcosa che le desse la forza. Soprattutto in quei giorni che era stata licenziata e aveva perso il suo tranquillo lavoro da impiegata.
Era stata la prima ad essere tagliata. Tutta colpa della maledetta crisi economica e dei suoi ventitré anni. E adesso, senza quell’impiego, era anche più complicato procurarsela.
A volte, per racimolare qualcosa, posava come modella per una casa di lingerie, altre volte si vendeva. Ma Vanni, tutto questo non l’aveva mai sospettato. Sapeva solo che prestava la sua splendida immagine per qualche campagna pubblicitaria locale.
Si erano conosciuti casualmente sulla spiaggia di velluto, mentre lei si rosolava al sole. Ora stavano insieme e sembrava che la cosa potesse funzionare.
Lui amava la musica e quella sera era venuto a Jesi per assistere proprio a quel concerto. Betty però si stava annoiando. Beveva e fumava… fumava e beveva, era nervosa. Aveva quasi vuotato il suo pacchetto di Marlboro.
Il tunisino l’aveva notata in mezzo a tutta quella confusione. Certo, lei non era un tipo da passare inosservata. Sapeva che tanto prima o poi ci sarebbe cascata di nuovo.
La sua presenza eccitata, nella semioscurità del chiostro, fu annunciata dal tacchettio frenetico dei suoi sandali, tacco 12, con perline e strass. La musica, che fino a un attimo prima era piacevole da ascoltare, ora giungeva distorta e sgraziata. Il rimbombare del chiostro era fastidioso.
Nell’oscurità, una coppia stava abbracciata, appoggiata ad un portone. I due percepirono la presenza di Betty. Alzarono la testa, per un attimo, ma la ignorarono. Continuando nel loro “corpo a corpo”.
Rashid stava aspettando, furtivo, in fondo al chiostro; le spalle rivolte verso il palazzo della Signoria.
La riconobbe dal rumore frettoloso dei suoi passi.
È lei, - pensò - speriamo che stasera li abbia i cinquanta euro. Non avrebbe voluto che fosse andata a finire come l’ultima volta. Quello scambio in natura con prestazione sessuale non lo aveva gradito, anche se lei era una figa notevole.
Lui preferiva pagarsele le donne. Vendendo droga aveva ottimi guadagni e le puttane di Porta Valle gli costavano molto meno. Quella sera era deciso: o i soldi o niente roba.
La musica ora taceva: la jam session era terminata, lentamente la gente stava scemando verso Piazza della Repubblica e Via Pergolesi.
Vanni si guardò intorno, ma di lei non c’era più traccia. Chiese al vicino di tavolo se l’avesse vista. “Certo che sì...!” - le rispose - Come avrebbe potuto non accorgersi di una tipa come lei. - “Si è diretta verso il chiostro, pochi minuti fa...”
Vanni avrebbe voluto concludere la serata in modo diverso con la sua Betty. Ma trascorse le ultime ore della notte al pronto soccorso in mezzo a codici bianchi, gialli e verdi, con gente ubriaca che si lamentava e bestemmiava; mentre si scoppiava dal caldo.
Betty era un codice rosso.
***
Quando arrivò il 118, e la sirena aveva squarciato le ultime note di musica jazz, Betty era schiantata. Stava rantolando con la bava alla bocca, sembrava una lumaca. La siringa, piantata in vena, penzolava dall’avambraccio. La trovarono riversa sulle scalette buie; che conducono da via Francesco di Giorgio Martini a via Roccabella. A due passi dall’anfiteatro romano.
La musica jazz, in quella calda notte d’agosto, era finita.
Betty non si sarebbe più annoiata.
Rashid, fuori porta Valle, stava contrattando, sotto la chioma scura dei lecci, sul prezzo con una giovane portoricana: venti euro per una fellatio…
© Franco Duranti - 2015