14 agosto 1974 - Ronny era un tipo solitario, non amava i luoghi affollati. E quel piccolo cimitero di campagna dove di solito andava per fare l’amore aveva pochi frequentatori. Le tombe e i colombai erano malmessi e le lapidi perlopiù sbreccate con i nomi sbiaditi dei defunti o prive di caratteri.

Gli ultimi clienti allocati in quel posto risalivano alla fine degli anni cinquanta. Le date della morte, che ancora si riuscivano a leggere, lo testimoniavano. Adesso lì erano rimasti in pochi e la maggior parte aveva preferito alloggiare al camposanto di Jesi.

Ronny conduceva lì le sue ragazze, in quel piccolo cimitero di campagna. Anche se con molte di loro si vedeva costretto ad andare in bianco. Il più delle volte quando si stendevano sotto le mura di cinta e lui cominciava a rovistare sotto i loro indumenti intimi, molte si bloccavano.

Il silenzio “tombale”, l’odore di muffa, di muschio e quello della cera, delle rare candele che ancora illuminavano le tombe, le inibivano.

Lui, però si ostinava. Continuava a portare le sue ragazze in quel posto.

Con Rosetta, che era comparsa all’improvviso nella sua vita, sembrava che tutto andasse a gonfie vele. Quella ragazza aveva un’aria un po’ strana, insolita e diversa dalle altre. Sembrava non facesse caso a quel luogo alquanto lugubre. Anzi, negli ultimi giorni, le migliori scopate Ronny le aveva fatte proprio con lei.

Per questo andavano d’accordo.

Ronny era soddisfatto di quella nuova conoscenza. Gli sembrava che quel luogo sinistro, finalmente, al contrario delle altre, eccitasse Rosetta. E, quando arrivava al culmine del piacere, urlava e smaniava come un'indemoniata.

Quella ragazza, piccola di statura, sembrava una bambina. Lei diceva di avere compiuto diciotto anni, ma Ronny non le credeva. Dopotutto non era l’età anagrafica che lo interessava; il suo unico scopo era finirci a “letto”.

La sua carnagione era bianca come il gesso. Troppo bianca per essere nel bel mezzo dell’estate, quando tutti erano super abbronzati.

Lei, era eburnea. Come se i raggi del sole non l’avessero mai sfiorata, e gli occhi e i capelli neri come il carbone bucavano il suo volto diafano.

La sua pettinatura era bizzarra: i capelli striati da meche bianche e sfilati a rasoio, come se glieli avessero strappati a ciocche. Poi, quel nome che si portava appresso sembrava non fosse il suo. Rosetta.

Chi si chiamava Rosetta negli anni settanta? Lui aveva conosciuto tante ragazze: Pamela, Patty, Samantha, Luana, Rosanna e anche una che si chiamava Virginia.

Ma una Rosetta mai… tutt’al più una Rosy.
Ronny, diversamente da quella tipa bianca come la cera, era bello: abbronzato e alto più di un metro e ottanta. La pelle ambrata dal sole e i riccioli castani lo facevano sembrare il Bacco di Caravaggio, con il volto di un poeta. E quell’aria che emanava era in contrasto con il luogo macabro nel quale si appartava.
I due formavano una coppia eterogenea. Esteticamente diversi, avevano però entrambi quell’affinità che li univa.
Amarsi in quel cimitero dove, ormai, non andava più nessuno.

Quella sera di metà agosto, dopo essersi scolato un paio di birre doppio malto nel bar della pineta, aveva salutato gli amici. Erano tutti un po’ brilli e su di giri. E, per di più, molti erano appannati dagli spinelli che giravano tra i tavoli.
L'orologio di Ronny segnava le undici e ventitrè: la notte era ancora lunga da vivere.
Rosetta in silenzio e con lo sguardo fisso nel vuoto, stava succhiando con la cannuccia il suo succo di mirtillo. Aveva lo sguardo perso, come se nella testa custodisse qualche segreto inconfessabile. Senza accorgersene, una goccia le era caduta sulla maglietta bianca sul petto.
Una piccola goccia che sembrava sangue: proprio lì, vicino al capezzolo destro, che svettava turgido.
All’improvviso si alzarono di scatto dalle sedie di plastica intrecciata, appiccicose di bevande rimaste lì senza essere pulite.
Terminato il suo drink, lei lo aveva penetrato con i suoi occhi simili a due carboni roventi. E lo sguardo, prima assente e fisso nel vuoto, era diventato acuto e profondo.
Ronny aveva captato il suo segnale: sembrava che aspettasse quel messaggio: Rosetta voleva stare da sola con lui.
All’unisono, tra gli sghignazzi dei presenti, lasciarono la compagnia che stava solo cazzeggiando. I loro sguardi li accompagnarono.
Quindi, balzarono sulla sua Vespa 50 Special parcheggiata vicino al juke-box che continuava a vomitare canzonette.
La notte era calda e limpida. La luna piena splendeva in quel cielo terso, come adagiata su una coperta di stelle.
Nel buio, qualche Perseide rigava il cielo.
Imboccarono la solita direzione: Tabano.
Lo scooter scarburato procedeva a manetta nelle strade semideserte. La marmitta sfondata spernacchiava e i cani al loro passaggio abbaiavano e latravano come impazziti.
Lasciarono il centro abitato.
Le piccole strade di periferia, a quell'ora, erano vuote. Il profumo del fieno tagliato e il concerto notturno dei grilli li stavano accompagnando verso quella desiderata meta. Gli alberi che fiancheggiavano la buia stradina di campagna, allungavano i loro rami scuri come mani protese verso i due giovani.
Lo scooter, dopo la breve discesa che conduce a Montesecco, proseguì sulla destra. Imboccò la salita e cominciò ad arrancare e tossire.  Ronny, lì per lì, credeva di non farcela ma, alla fine era certo che la sua Vespa rossa non lo avrebbe mai tradito. La sentiva ansimare sotto la pedana come se il peso dei due passeggeri fosse eccessivo.
Per aiutarla ad affrontare la pendenza, provò a dare uno scatto con i reni, mentre Rosetta si teneva aggrappata ai sui fianchi per non scivolare dal sellino. Ma la Vespa continuava a soffrire.
La sua nuova conquista pesava più del dovuto.
Rosetta, dopotutto, era molto più piccola delle altre ragazze che aveva condotto lì. E si augurava che lo scooter non lo tradisse proprio quella notte.
All’altezza della vecchia scuola di campagna, ormai in disuso, innestò la prima. La marmitta sputò ancora fumo denso e biancastro. Con uno strattone lo scooter, ansimando, riprese a salire e deviò sulla destra verso il cimitero.
Parcheggiò a fianco del muro di cinta. Il cancello arrugginito era socchiuso. La serratura ancora divelta dalla sua ultima visita. La manutenzione di quel luogo lasciava molto a desiderare.
Piano lo sospinse. Il cigolio delle cerniere incrostate dal tempo, ruppe il silenzio con uno  stridore sinistro. Un vecchio gufo, in cima ad una quercia secolare, stava aspettando le sue prede notturne. Disturbato da quel rumore e della loro presenza, si staccò pesantemente con un battito sordo di ali.
Plont! Plont! Plont…
I due giovani amanti, tenendosi per mano entrarono nel vialetto rischiarato dalla luna piena. Non erano affatto intimoriti, anzi… Si sedettero su una tomba, sopra una pietra ormai vecchia e ricoperta di licheni. La foto in ceramica della defunta era stata staccata. Il nome era sbiadito e illeggibile. A malapena la luna lumeggiava le date: Nata il 2 febbraio 1856 - Morta il 14 agosto1874.
Strano! - Pensò Ronny.
Dalla data della morte di quella tizia erano trascorsi esattamente cento anni.
Rosetta, in quell'atmosfera lugubre, si sentiva a suo agio. Forse c’era stata la complicità degli spinelli, ma era già eccitata al punto giusto. Come una ventosa si attaccò alle sue labbra e lentamente, come una biscia, iniziò a muovere la lingua dentro la sua bocca.
E lui, sopraffatto dalla sua irruenza, rimase sotto di lei. Steso come un baccalà sulla lastra di marmo. Mentre lei continuava a dimenarsi come un’invasata, Ronny sentiva il suo sesso crescere. In un attimo si era sfilata gli slip e, introducendolo dentro di sé, cominciò la sua folle cavalcata.
La luna, che fino a pochi attimi prima brillava nel cielo, all'improvviso si era nascosta dietro una densa nuvola. Una nuvola pesante, pesante come il piombo. Tutto intorno sprofondò nel buio assoluto.
Ronny provò ad aprire gli occhi. Li aveva incollati. Le palpebre sembravano sigillate dal mastice. Non riusciva a distinguere più nulla, né tantomeno il volto di Rosetta, che stava cavalcandolo con inaudita irruenza.
Cercò di fermarla ma non ci riusciva. Sentiva su di sé, due mani scheletriche che lo bloccavano con forza contro la pietra. Il volto di Rosetta era spartito. Gli occhi di Ronny non vedevano più nulla.
Buio totale!
Nella sua mente si era materializzata una maschera bianca. Un teschio con due orbite vuote che lo fissavano. Non credeva che ciò fosse realtà. Per un attimo, si fece coraggio: provò a pensare che quella roba che si era fumato era davvero formidabile.
Ma forse stava sognando. Non riusciva più a capire.
Avrebbe voluto svegliarsi. Porre fine a quell'amplesso. Non poteva, non riusciva a muoversi. Non poteva fermare quel movimento ritmato, sempre più veloce, sempre più incalzante.
Un treno in corsa.
Sentiva un forte dolore all'inguine, come se da lì a poco gli esplodesse.
Chi lo stava stuprando non si fermava più. Ma chi era che lo stava violentando?
Chiunque fosse stato continuava a pompare, come una locomotiva a vapore. Sentiva la pressione di quel corpo aumentare, che seguitava nella sua opera devastatrice.
Avrebbe voluto urlare ma non aveva fiato.
La lingua di Rosetta, come una tenia, era penetrata nella sua gola, e scendeva nelle sue viscere: lentamente, lo stava divorando.
L
a lastra di marmo improvvisamente cedette al peso e sprofondarono nella tomba.
La nuvola di poco prima si era diradata. Ora, la luna splendeva più luminosa. Tante piccole luci presero a tremolare tutto intorno, come centinaia di candeline su una torta.
Finalmente, sulla lapide ora si riusciva a scorgere distintamente il nome della defunta.
Rosetta Trombadori.
Nata il 2 febbraio 1856 - morta il 14 agosto 1874.
Probabilmente dovrà aspettare altri cento anni per farsi una scopata con i fiocchi...

Prossimo compleanno 14 agosto 2074.

 

© Franco Duranti - 2014