La sala dove si trova è gremita. In questa fredda mattina di metà gennaio, mentre fuori il termometro è prossimo allo zero, Fausto è in compagnia di altre cento persone, o forse più. Sono tutte lì ad attendere qualcosa. Tutte a fare la fila come lui. Aspettano di essere chiamate per un esame che dovrebbe certificare l’inesorabile verdetto della loro malattia.
Fuori è gelo, ma in questa enorme sala, un piacevole tepore accompagna la gravosa attesa. Tutto è pulito, lucido, efficiente. I cartelli, affissi ad ogni angolo, indicano, con meticolosa precisione i vari reparti e le postazioni sanitarie. È quasi impossibile sbagliare la destinazione.
Lui, Fausto, sta valutando le indicazioni che hanno una precisione millimetrica: tutto è stato progettato per far sentire il malato a proprio agio.
Ma Fausto non è a suo agio. Nemmeno il tono caldo, color albicocca, delle pareti gli infonde quel senso di piacevole benessere. Nella sua mente si stagliano, vive, le immagini di quando era più giovane e lo riportano indietro nel tempo. Quando sua madre era costretta a frequentare quegli squallidi posti che lui odiava. Perché lei era lì e lui non poteva fare nulla.  Rivede quelle maledette stanze e quelle odiose strutture sanitarie tinteggiate di un grigio tetro. Oppure, come massima esaltazione cromatica, erano tinteggiate con uno slavato colore verdino: lo chiamavano verde penicillina. E tutto era terribilmente freddo e così lontano dall’animo scheggiato del malato che vi stazionava.
 - Sì, Fausto! Perché ora anche tu sei in questa sala d’attesa, e anche tu sei malato. Sei seduto su una moderna poltroncina: una comoda poltroncina in alluminio pressofuso con la seduta in plastica rossa.
Queste file ordinate, di tre o cinque sedute, sono addossate alle pareti: ma lo schienale non tocca il muro per non graffiarlo. Continua a riflettere su tutto quello che passa davanti ai suoi occhi. Anche a questo piccolo e insignificante particolare: il distanziatore che impedisce il contatto con le pareti. Alla genialità del progettista che ha ideato questa stupida, ma valida soluzione. E che permette di avere le zoccolature intonse e non sbrecciate dagli schienali che le raschierebbero.
Lui sta aspettando e continua a pensare di tutto. L’ ambiente è senza dubbio confortante, ma non “idilliaco” ed è in attesa che lo chiamino per una serie di esami.
 - Fausto, fatti coraggio! Vedrai domani tutto sarà finito. A quest’ora sarai già uscito dalla sala operatoria e di sicuro tutto andrà per il verso giusto.
- Già! Il giorno dopo, a quest’ora, sarò sotto i ferri. Cerco di non pensarci, ma non è semplice.  - Questo tizio cerca di farmi coraggio, ma mi sta assillando.
- Certo, è facile fare la morale sulla pelle degli altri. Vorrei vedere te!
- Fatti forza Fausto!
- Sì, cerco di farmi coraggio. Ma questa attesa, in un ambiente idilliaco, come dici tu, non mi distoglie dai dubbi e dai mille pensieri che si stanno rovesciando nella mia mente come acqua ghiacciata.
Fausto, sta osservando una coppia di sessantenni, seduti proprio di fronte a lui. Di sicuro, uno dei due avrà problemi simili al suo. - Chi sarà dei due? - Si domanda...
Lei è mora, capelli neri, corti, tagliati a caschetto. Il suo compagno la chiama sottovoce Maria, ma Fausto riesce comunque a captarlo.
Quello è il suo nome: Maria.
Maria indossa un soprabito nero, calze pesanti nere e scarpe con tacco, anch’esse, nere. Belle gambe, dritte: anche se celate da quella calzamaglia pesante. I suoi occhi verdi per un attimo si scontrano con quelli di Fausto. Forse vorrebbe sentirsi meno sola… Sola?
- Non è sola, Fausto! Suo marito, o il suo uomo è lì accanto a lei e le stringe il braccio. Come te Fausto, non sei solo. Anche tua moglie ti è accanto e ti stringe la mano per farti coraggio.
- Sì, hai ragione. Ho bisogno di coraggio e lei cerca di farmelo.
Maria si accosta, come una gatta ruffiana, alla spalla del suo uomo, come per ricevere una carezza, una coccola. Si appoggia e socchiude gli occhi.  Sembra che stia ronfando.
Maria: nome comune di donna.  Ma, pur sempre bello!
Anche la nonna di Fausto si chiamava così. Tuttavia non ha ricordi molto piacevoli della sua anziana nonna. Si ricorda, con chiarezza, che quando è morta lui aveva solo sei anni, gli è rimasto solo impresso che era sorda, e che si pisciava addosso.
Anche la figlia di Fausto ha questo nome composto, Maria Elena. Ma, lei si bagnava i pannolini solo quando era in fasce.
Poi, ha avuto in casa una badante rumena: di nome Maria, ma quella preferisce non nominarla. Si mangiava tutto quello che c’era a portata di mano: una vera pompa idrovora. Tutto quello che era sulla sua strada divorava. Come Pac-Man, così l’hanno licenziata.
Maria, poi, è anche il nome della Madonna. Quella Madonna che dovrebbe aiutarlo in questo momento.
- Perché Fausto sei diventato devoto alla Madonna?
- No. Cioè sì... ma perché non ti fai i fatti tuoi?
Ogni tanto, come in questo momento, gli capita di raccomandarsi a Gesù, il figlio di Maria. 
Prega nel segreto della mente e dice: - Cristo, vedi di metterci una mano tu!.  - Ma, non credo che possa ascoltarlo, però Fausto intanto lo invoca lo stesso.
Quante Marie nella sua vita...! Tutte queste Marie continuano a ronzargli nella testa come un fastidioso sciame di mosche. Involontariamente, poi, scoprirà che è lei, Maria quella vestita di nero e con gli occhi verdi che ha cercato il suo sguardo, ad avere un problema di salute.  Non il suo uomo. Senza volerlo, lo scopre quando viene chiamata dall’infermiera: Maria Orazi.
- Fatti coraggio Maria. - Pensa Fausto. - Prima o poi sarà tutto finito. Anche per te.  
Scoprirà involontariamente che anche lei ha la sua stessa patologia. La cartella clinica di Maria Orazi era affiancata alla sua, sulla scrivania del dottore.
Lo stesso medico che avrebbe visitato anche lui.
- Fausto, cerca di rilassarti, sei teso come una corda di violino!
- Dici bene tu! Che non devo aver paura dei prelievi e delle altre prove a cui dovrò sottopormi.
- Cosa vuoi che sia una piccata d’ago? Immagina una puntura di vespa: è più dolorosa!
- Infatti, non ho paura…  penso al dopo, alla fase successiva. A quello che potrebbe saltar fuori dall’esito. Da ciò che preleveranno dal mio corpo e verrà analizzato. Non ho timore dell’anestesia, tanto quando chiuderò gli occhi tutto sarà finito e quando mi sveglierò (se mi sveglierò) non mi accorgerò di nulla, né tantomeno di quello che mi hanno asportato. Cristo, perché doveva capitare proprio a me!
- Stai calmo, forse, credevi di essere invulnerabile come Superman? Non lo sei.
- Grazie, del coraggio che mi fai. È che non credevo che questo maledetto stesse covando proprio dentro di me…
- Non sei certo il primo, né tantomeno l’ultimo. Vedi, anche Maria ha il tuo stesso problema, ma non ha quella faccia da funerale che hai tu!
- Adesso che c’entra Maria? Solo perché ne ho parlato poco fa?
- Sei la solita vecchia volpe Fausto! …È che mi sembrava che fossi attratto da lei.
- See, attratto! Come ti salta in mente un’idea così balorda. In un momento così fragile per la mia salute!
- È, che ti ho visto come la guardavi, mentre lei ti sfiorava con i suoi occhi verdi!
- Ma cosa vai farneticando. Quando fai così t’ammazzerei. Ok, ok! Lo ammetto, le donne mi attraggono. Ma le more non sono il mio tipo: dovresti saperlo che a me piacciono le bionde.  La donna seduta al mio fianco e che mi stringe la mano ne è la prova, o sbaglio?
- Mah…!? Se lo dici tu! Ma da come vi siete guardati credevo proprio che ci fosse una certa… affinità? Dico male?
Vorrei fargli capire, a questo tipo che mi sta assillando, che l’unica affinità che ci unisce in questo maledetto momento sono le nostre cartelle cliniche affiancate sulla scrivania del medico.
I nostri nomi con la stessa diagnosi e patologia, e la stessa sigla sulla copertina: L.S. 
Ora glielo dico: - Ok, ok!  Sarà  come dici tu... ma non rompermi più i coglioni!

 

© Franco Duranti - gennaio 2016