Questa tegola non se l’aspettava. Accidenti, lo ha colpito in pieno.
Era quasi sicuro, si fa per dire, che non gli sarebbe mai capitata una roba simile. Certo, Fausto non è invincibile, né tantomeno immune da malattie. E, quando ha scoperto che il suo era un tumore, la cosa non lo tranquillizzava affatto.
Ora immagino che, per Fausto, queste feste di Natale saranno di sicuro velate da una densa e pesante nuvolaglia grigia.
Speriamo, per lui, che sia solo passeggera e che presto il sole torni a splendere nella sua anima. Non vorremmo aspettare la primavera per rivedere il sole nei suoi occhi.
Il suo medico dice che, per verificare se questo melanoma abbia preso campo, Fausto dovrà sottoporsi subito ad alcuni accertamenti, approfonditi e mirati.
Non lo sta nascondendo: un po’ di fifa ce l’ha, e ultimamente di notte fatica ad addormentarsi. Si rigira nel letto e pensa, pensa, e continua a pensare. È sempre in allerta come una sentinella nella sua garitta. Ogni piccolo rumore della casa lo mette in agitazione.
Forse sta esagerando, ma quella notizia gli ha negato la pace. Quella pace che negli ultimi tempi stava riacquistando.
Eppure, lui lo sa, queste patologie, purtroppo, sono molto frequenti: ne sappiamo tutti qualcosa e non è raro che colpisca tante famiglie. Anche tra i miei affetti e credo anche tra chi sta leggendo, ci sia chi combatte ogni giorno la propria battaglia privata contro l’alieno.
* * *
Mentre Fausto sta dipanando la matassa dei suoi pensieri distorti è seduto in sala d’attesa, e aspetta che arrivi un medico che deve apporre solo la sua stupida firma su di un foglio.
- A che serve? - si sta chiedendo.
In questo momento gli sembra tutto superfluo… vorrebbe pensare solo a se stesso. Si domanda a cosa servano queste maledette, interminabili code.
Tanta gente. Troppa gente!
Gente che, come lui aspetta, ansiosa: forse per un prelievo, per una visita o per un’iniezione…
E già! In questo momento gli ci vorrebbe proprio un’iniezione, ma di fiducia.
Nella sala d’attesa, facce note e sconosciute, ma tutte accomunate da problemi di salute. Vorrebbe saltare queste maledette code, ma purtroppo le deve sopportare per avere accesso agli esami che dovrà sostenere. E, che servono per capire…
Capire che cosa?
Se l’Alieno si è allargato, oppure è ancora circoscritto e può essere sconfitto.
Ok, Fausto ha paura che ci siano delle metastasi!
È seduto e sta riflettendo: - Fanculo! Ma quando arriva questo “medichetto” che deve solo siglare uno scarabocchio su un misero pezzo di carta!
Sta perdendo la pazienza, quella poca residua che ancora è seminascosta dentro di lui. In effetti non è mai stato molto tollerante. Questo è un suo maledetto difetto che, nonostante la matura età, non è riuscito ancora a smorzare. Ci riuscirà mai?
Eccolo, è arrivato!
Finalmente si è materializzato come un ectoplasma nel corridoio della sala d’attesa.
Un dottorino insignificante. Ha l’aspetto trasandato di uno che sta svolgendo controvoglia un ruolo che non gli si addice.
Con il suo camice bianco, non perfettamente candido, ma ombrato da un alone grigiastro, ha l’aspetto di un salumiere. I suoi capelli non molto puliti, anzi untuosi, gli conferiscono un’aria ancor più sciatta, e ciò non gioca certo a suo favore.
Finalmente è il suo turno ed entra nel suo studio. Il medico sta parlottando ad alta voce con un’infermiera. Il suo sguardo sfiora appena quello di Fausto: è come se non lo avesse notato, e questo lo indispettisce ancora di più.
Continua a parlare con l’infermiera, chiedendo ragguagli sulla possibilità di prescrivere alcune fiale di albumina ad una paziente.
Lui. Un medico che chiede all’infermiera…?
Mentre Fausto è lì che aspetta, lui telefona, a non so a chi, per avere conferma del dubbio che lo assilla.
Intanto, il dubbio di Fausto si concretizza; è convinto sempre di più della presunta non professionalità del medico. Quello non dovrebbe essere il suo ruolo.
Fausto è ancora lì, aspetta, e lui lo squadra con aria di sufficienza. Ciò lo indispone ulteriormente: il medico, finalmente, si degna di sbirciarlo, gli fa una domanda banale, quindi appone il suo illeggibile, insignificante sgorbio su quel documento.
Fausto ringrazia, saluta e, mentre esce finalmente dal suo ufficio, gli viene da pensare: ma vai ad affettare la mortadella!
Non è finita. Che palle!
Deve affrontare un’altra coda, ad un nuovo sportello, solo per registrare la sua stupida firma e ricevere un codice che dovrà presentare a tutti gli esami che il protocollo richiede.
La gente che aspetta nella sala d’attesa è impaziente e intanto sbuffa. Anche Fausto si accoda e, per non smentire la sua insofferenza, lascia fuoriuscire dai polmoni l’aria esausta.
Al nuovo sportello, dove la fila si è allungata, un’impiegata dai modi alquanto bruschi, dà a tutti del tu come se tutti quelli che stanno aspettando il loro turno, fossero suoi amici di vecchia data. Questa confidenza di cui lei si appropria lo indispone ancora di più.
L’impiegata, oltre la soglia dei cinquanta, ha l’aria e il portamento di una zoccola a fine carriera. Trucco pesante, capelli neri corvini e bocca carnosa sbavata da un rossetto rosso carminio… che lascia supporre il resto.
Mentre è lì, in angosciosa attesa, la tipa redarguisce con voce roca due anziani che si salutano con troppa enfasi. Con ogni probabilità era da diverso tempo che non s’incontravano e il loro tono, forse, era di un’ottava troppo alto.
La zoccola, con un atteggiamento privo di garbo, urla ai due di parlare sottovoce - con quel baccano lei non può lavorare.
Lavorare?
Detta da lei è una parola grossa. Le zoccole, di solito, battono i marciapiedi e non stanno negli uffici al pubblico, dietro gli sportelli.
Fuori è freddo, il vento gelido di fine dicembre lascia tracce sui visi tirati della gente che entra nella sala d’attesa.
La fila si allunga.
Entra una vecchietta claudicante, sorretta dal suo bastone e, sfortunatamente, lascia la vetrata aperta e una folata d’aria fredda invade la stanza. Lei, la zoccola, ancora una volta, dalla sua postazione la riprende in malo modo, gridando di chiuderla subito.
Fausto la scruta. Lei si accorge del suo cipiglio e, come per giustificarsi, sostiene che non vorrebbe buscarsi una polmonite.
Dentro di lui, si augura che quella sarebbe il minimo che le possa capitare.
Con la sua solita aria da gentildonna alza il deretano dalla poltroncina, e sculettando se ne va verso la stampante. Sfortunatamente, alcuni fogli tardano ad uscire. E allora, anche questa volta, se la prende con la macchina che non le restituisce quanto lanciato un attimo prima dal suo computer.
Finalmente è il turno di Fausto. Con lui è gentile e lo sguardo che gli rivolge è quasi accomodante: se solo avesse provato ad essere irriverente, come con gli altri, forse l’avrebbe seppellita. Lei gli stampa un sorriso di circostanza che mette in mostra i suoi denti non perfettamente brillanti, anzi gli spazi interdentali scuri, fanno supporre che sia un’accanita fumatrice, o che i suoi incisivi siano affetti da carie.
Mentre è intenta a registrare la sua scheda, alcune persone si spingono in maniera avventata oltre la linea che delimita la coda. Tale sconfinamento provoca in lei, ancora una volta, nuove ire e sbraitando intima agli sventurati di non oltrepassare la riga del “fuori gioco”.
Come una kapò nazista, li minaccia di farli azzannare da un ipotetico cane lupo.
Fausto è arrivato al capolinea: non vede l’ora di andarsene, è giunto al limite della sopportazione umana!
Finalmente, la zoccola/kapò gli consegna il sospirato documento e lui se ne va di corsa.
Mentre esce si sta convincendo che, forse, non era la giornata ideale per stare in coda ed essere tollerante.
Non ha nulla contro i salumieri e il loro piacevolissimo lavoro. Inoltre, a lui, la mortadella fresca piace da morire, con la michetta fragrante.
Anche contro le zoccole, non ha nulla da dire. Sono libere di esercitare la loro professione, ma non certo negli uffici pubblici.
Fino al 1958 la loro nobile arte era svolta nelle “case chiuse”. Forse è il caso di pensare alla loro riapertura?
Buon Natale!
© Franco Duranti - dicembre 2015